Declassificare la bicicletta
Se vogliamo proteggere i ciclisti per legge almeno tanto quanto i pedoni, se vogliamo che la mobilità ciclabile sia considerata benemerita tra le altre – perché pulita, silenziosa, economica e non invasiva – e dunque degna di supporto e incoraggiamento da parte dello Stato nelle sue diverse articolazioni, forse è il caso di mobilitare i legislatori esperti di diritto e proporre una declassificazione della bicicletta da veicolo a mero attrezzo. A utensile.
Finché la bici, o velocipede, come la chiama anacronisticamente il codice della strada, continua a essere definito come veicolo, essa deve condividere il destino di regolamentazione tipico di automobili, camion e corriere, veicoli questi sì perché dotati di motore, generalmente a scoppio, di massa molto o enormemente superiore a quella del conducente, e spesso dell’intero carico, capaci di carichi ben maggiori rispetto al mero conducente, pericolosi per chiunque si trovi nei paraggi e non sia adeguatamente corazzato a causa delle masse e delle velocità che possono raggiungere.
La bicicletta invece è un attrezzo meccanico privo di motori che serve mirabilmente a ridurre l’attrito al suolo di chi la monta, ha massa decisamente inferiore a quella dell’utilizzatore e consente velocità (fatti salvi gli attrezzi più specificamente sportivi) paragonabile a quella della persona che corre.
Così come un badile consente di sollevare efficacemente molta più terra che non le mani nude o un martello consente di far convergere sul chiodo tutta la forza del braccio, così la bicicletta consente di trasformare il moto delle gambe in rotolamento, con grandissimo aumento dell’efficienza.
Con questa nuova visione una persona in bicicletta resta una persona che però sta usando un attrezzo e non diventa un veicolo, ma va protetta dai veicoli almeno quanto i pedoni, può condividere gli stessi spazi (per esempio traversare una strada sulle strisce pedonali godendo del diritto di precedenza) perché non mette a repentaglio la loro sopravvivenza, almeno non più di quanto faccia un uomo sano di mente che manovra un badile o un martello.
Non la faccio più lunga e attendo reazioni, spero non inconsulte…
Finché la bici, o velocipede, come la chiama anacronisticamente il codice della strada, continua a essere definito come veicolo, essa deve condividere il destino di regolamentazione tipico di automobili, camion e corriere, veicoli questi sì perché dotati di motore, generalmente a scoppio, di massa molto o enormemente superiore a quella del conducente, e spesso dell’intero carico, capaci di carichi ben maggiori rispetto al mero conducente, pericolosi per chiunque si trovi nei paraggi e non sia adeguatamente corazzato a causa delle masse e delle velocità che possono raggiungere.
La bicicletta invece è un attrezzo meccanico privo di motori che serve mirabilmente a ridurre l’attrito al suolo di chi la monta, ha massa decisamente inferiore a quella dell’utilizzatore e consente velocità (fatti salvi gli attrezzi più specificamente sportivi) paragonabile a quella della persona che corre.
Così come un badile consente di sollevare efficacemente molta più terra che non le mani nude o un martello consente di far convergere sul chiodo tutta la forza del braccio, così la bicicletta consente di trasformare il moto delle gambe in rotolamento, con grandissimo aumento dell’efficienza.
Con questa nuova visione una persona in bicicletta resta una persona che però sta usando un attrezzo e non diventa un veicolo, ma va protetta dai veicoli almeno quanto i pedoni, può condividere gli stessi spazi (per esempio traversare una strada sulle strisce pedonali godendo del diritto di precedenza) perché non mette a repentaglio la loro sopravvivenza, almeno non più di quanto faccia un uomo sano di mente che manovra un badile o un martello.
Non la faccio più lunga e attendo reazioni, spero non inconsulte…