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Correva l’anno 1900 quando Cesare Lombroso, il padre dell’antropologia criminale scrisse “Il ciclismo nel delitto” un saggio in cui sosteneva che la bicicletta faceva aumentare le occasioni per delinquere e le cifre complessive della criminalità. Sotto le due torri, la cosa suscitò un grande dibattito anche perchè Bologna all’epoca era tra le città più ciclabili d’Italia: 4.000 su un totale nazionale di circa 100.000 amanti delle due ruote. Oggi, a più di un secolo di distanza si sventola lo stesso spauracchio, ipotizzando una “trasmutazione genetica del ciclista da mite pedalatore di città in prepotente vessatore di pedoni”. Fenomeno che, a leggere “Il falso buonismo della bicicletta” pubblicato martedì scorso a firma di di Fulvio Cammarano, sarebbe in corso per via di un patto tacito di non belligeranza, tra Istituzioni inadempienti (per quanto riguarda la sicurezza dei ciclisti) e ciclisti delinquenti “per necessità” che, per evitare strade che li vedono falcidiati a gran ritmo, scatenano la loro “aggressività di proiezione” ai danni di poveri pedoni. Impostare una qualsiasi discussione in maniera così generale serve solo ad aizzare tutti contro tutti: ciclisti, automobilisti, pedoni, Istituzioni. Senza risolvere nulla. Se vogliamo parlare di responsabilità guardiamole con attenzione perché nessuno ne è esente (giornalisti inclusi). Ma per favore partiamo da argomenti seri, non dal fatto che un ciclista ha preso una multa perché parlava al cellulare! Ad esempio cominciando col chiederci: il diritto alla mobilità (con ogni mezzo di trasporto) è tutelato o i rischi sono tali da mortificare tale libertà? L’aria e lo spazio delle nostre città vanno tutelati in quanto bene pubblico e quindi di tutti? Il loro uso va tassato in maniera differenziata se possiedo un auto o una bici visto che i due mezzi inquinano e ingombrano in modo diverso? Le Istituzioni fino a che punto sono responsabili della sicurezza stradale? Gli imprenditori lo sono da quando esiste la legge 626 e i territori amministrati dai nostri sindaci? Una rotatoria sprovvista di attraversamento ciclabile è pericolosa come una sega a nastro (e più di campo rom!). Perchè per la seconda c’è l’obbligo di messa in sicurezza e per la prima no? Infine voglio ricordare quello che sovente ribadisce Edoardo Galatola, responsabile Sicurezza stradale dell Fiab. Il nostro Codice della Strada avrebbe bisogno di una “rinfrescata” e le proposte non mancano, ma l’art. 1 comma 1 direi che è perfetto:
“Le norme e i provvedimenti attuativi si ispirano al principio della sicurezza stradale, perseguendo gli obiettivi di una razionale gestione della mobilità, della protezione dell’ambiente e del risparmio energetico”. Sembra si parli di bicicletta, o no?
Mi urta molto l’idea che il ciclista “per forza di cose” sia visto come un’altra minaccia per il pedone. E che il pedalare sui marciapiedi sia una rivalsa da parte di chi – diciamolo, ripetiamolo, sulle strade rischia di morire. La vedo così: i mezzi per fare le cose per bene non ci sono. Perchè le piste ciclabili non ci sono e – credo – anche i marciapiedi fanno schifo (non vivo a Bologna ma ne ho un’idea. Un giorno vi parlo di Pescara). Appelliamoci al buonsenso. Se è necesario per incolumità si pedala sui marciapiedi, ma si smonta dalla bici e si va a mano quando la bici diventa, aihlei, un pericolo. e non si fa lo slalom tra i pedoni. Perchè il ditritto all mobilità non c’è, ma non facciamone una giustificazione. E continuiamo a spingere con chi di dovere per tutti gli interventi del caso.
a me l’articolo non mi scandalizza particolarmente, quando la pista ciclabile è un po’ di vernice su un marciapiede è evidente che il pedone vede invaso anche il suo piccolo spazio e comincia a odiare il ciclista, d’altronde quando io faccio la scelta di pedalare rischiando la vita , la salute e il furto e non vengo tutelato da nessuno, mi viene naturale comportarmi da bandito ….è la solita guerra fra poveri
ciao