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Non credo nel bike-sharing

Sono molto scettico sul ruolo che questo sistema può svolgere sulla diminuzione del traffico, dell’inquinamento e sul miglioramento della qualità della vita nelle città. E mi spiego.
La disponibilità di una bicicletta gratuita è senz’altro un buon servizio per il turista e per il visitatore temporaneo di una città, ma non serve a molto per chi nella città ci vive stabilmente. Chi vuole circolare in bicicletta stabilmente cioè andarci a lavorare, a prendere i figli a scuola, a fare la spesa, a divertirsi e così via ha bisogno di un mezzo proprio, di buona qualità, dotato di opportuni accessori, sempre disponibile. Tutte caratteristiche che le bici pubbliche non hanno, esse sono generalmente poco disponibili (rari posteggi e spesso semivuoti) poco fruibili (pesanti, prive di cambio e di accessori) non di rado inutilizzabili (furti e danni sono continui).
Ripeto, considero la disponibilità della bici pubblica un buon servizio, ma nelle città che visito per lavoro o per turismo e non in quella dove vivo. Molto più importante invece la disponibilità per i cittadini di sistemi di scambio e integrazione tra bicicletta e mezzo pubblico (spazio per le bici su treni, metropolitane, tram e autobus), tra auto privata e bicicletta (parcheggi scambiatori periferici da cui partano percorsi ciclabili per il centro, oltre che navette). Molto più importante del bike sharing è la capillare presenza di posteggi robusti e sicuri nella mia città per la mia bicicletta, la disponibilità di sempre più ampie zone pedociclabili, l’ampliamento degli attraversamenti ciclabili, in sostanza la protezione del ciclista dal traffico motorizzato e la sua massima considerazione da parte dei regolatori urbanistici. Insomma se una bici pubblica costa 200 o 300 euro e l’amministrazione ha pochi soldi è meglio che quei soldi li spenda per 4-6 posteggi nei quartieri. O no?

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  1. La provocazione di Vittorio va colta e rilanciata. Del resto già qualche mese fa ne avevamo parlato suscitando anche alcune perplessità. Il suo post arriva proprio mentre da qualche giorno in modo ancora destrutturato e via mail, se ne cominciava a parlare con Pietro Boselli.

    Mi rivolgevo a lui partendo dal fatto che il Bike Sharing (BS d’ora in poi) pur avendo, nell’accezione italiana, i limiti pesanti individuati da Vittorio,  può essere, se attivato con grandi numeri (Parigi docet), un modo per fare “Massa critica” innervando di bici la città (rubando spazio alle auto: questione di ingombri)

    Inoltre nella totale assenza di comunicazione (dagli spot, agli eventi…) a favore della bicicletta il BS offre “maniglie” per comunicare le virtù di questa modalità di spostamento.

    Detto questo rimarcavo le perplessità e mi chiedevo: Ci puo’ essere “un’altra via” del BS? Una comunita’, con i suoi cittadini e le sue bici in garage, con le ciclofficine, con le sue aste di bicicletta e con i suoi operatori di settore non puo’ immaginare nulla di diverso?

    Ecco la risposta di Pietro che ha subito inquadrato il problema.

    “Il tema del servizio di bici pubbliche é molto interessante da analizzare. Bisogna affrontarlo almeno dai tre punti di vista : quello dell’ Amministrazione, quello dell’ utente, quello dell’impresa.

    Ma prima di definire obiettivi, oneri e tecnicalità  dei tre soggetti va detto subito che sotto il profilo economico l’introduzione e la gestione di un moderno  grande servizio di bici pubbliche  (a prelievo e riconsegna libera) é una attività tutta quasi totalmente in perdita.  JCDecaux per esempio  che tra i primi ha applicato il sistema ‘Bike for Poster’ sviluppa il contratto su due budget separati: uno legato alla gestione del servizio di BS, l’altro alla gestione dei contratti di pubblicità esterna.

     Le poste attive in quest’ ultimo bilancio servono a  compensare le perdite dell’altro bilancio.

    Pensa che la bici dei sistemi Velov o Velib viene messa a bilancio a cinquemila euro anno  e che occorrono oltre ad una centrale  gps anche dei furgoni e personale che passano il tempo a spostare le bici da una stazione all’ altra!

    Anche il sistema Deutsche Bahn ‘Call’ a bike’non é da meno: anche qui una centrale gps e addetti  alla movimentazione che, pur non essendovi l’onere di rifornire adeguatamente gli stalli nelle stazioni, devono movimentare comunque le bici dai posti di minor frequenza di prelievo a quelli dove si concentrano (es. alla partenza di un treno)

    I 3 punti di vista proposti da Pietro sono essenziali. Occorre analizzarli con calma. ridurre o eliminare

    Inventariare gli aspetti negativi, esaltare o aggiungerne di positivi per migliorare il servizio senza necessariamente ripercorrere il gia fatto ,che’ mica siamo burocrati noi.

    Credo che si debba operare, fatte le debite differenze come ha fatto il cirque du soleil che ha reinventato il circo: hanno tolto animali, inserito una chiave narrativa, tematizzato ogni spettacolo.

    Hanno tolto dal circo classico e attinto al teatro d’avanguardia e hanno inventato una forma di spettacolo inimitabile.

    Si puo’ fare con il BS? Tenendo salvi i tre punti di vista e pensando anche al fatto che 10.000 bici in una citta’ SONO UN MEDIA e come tale sono  anche pubblicita’, a pagamento o sociale che sia.

    Apriamo un cantiere di riflessioni magari per dire fantozzianamente che il BS e’ una “cagata pazzesca” o è la via maestra della mobilità del futuro; per ripensarlo di sana pianta  o per farne uno strumento a disposizione degli assessorati al turismo anziche’ di quelli alla mobilita’…

    Senza pregiudizi, ma nel rispetto di tutti…

  2. sono abbastanza d’accordo. intendiamoci: serve anche quello, però bisognerebbe vedere come farlo funzionare. intanto penso anch’io che la cosa più importante sarebbe di rendere la città a misura di bici: sarei estremista e direi fuori le auto dai centri urbani, ma mi accontenterei di molto meno. basterebbe una maggior limitazione del traffico. vivo a milano, dove è appena partito un bike sharing. funziona in abbonamento e con la carta di credito. e perchè mai dovrei abbonarmi? io la bici ce l’ho e già la uso molto in città. certo, dovrebbe servire a chi non ce l’ha. o potrebbe servire anche a me quella volta che sono coi mezzi e la metropolitana è bloccata o c’è qualche altro problema. un uso saltuario, non certo in abbonamento.eppoi i depositi sono tutti in centro (o meglio, la cerchia dei bastioni): il bike sharing alla moda milanese non è destinato alle “periferie”.

  3. Ho visto realizzato, da qualche tempo, a Barcellona il servizio municipale “BICING” http://www.bicing.com
    mi è sembrato un buon compromesso per un bike-sharing efficace.
    A tutte le ore del giorno c’è un gran viavai di ste’bruttine biciclettine rosse e bianche, credo molto pratiche, visto che le usano tutti.
    Ordine, manutenzione, dipendono dalla piccola quota annuale/settimanale che si versa con la registrazione al servizio, i furti forse si limitano anche con il fatto che le bici sono veramente brutte e dai pezzi inutilizzabili.

    Altro fattore da considerare, la città di Barcellona è tutt’altro che piana, ma nonostante ciò circolano molti mezzi a pedali.

    Il sito, chiaro, utile, completo, è in catalano/castigliano, ma vi posso estrarre alcune indicazioni significative che possono illustrare il progetto.
    http://www.bicing.com

    traduco letteralmente:
    “Bicing è un nuovo mezzo di trasporto pubblico e un complemento ideale al trasporto tradizionale di Barcellona. La sua finalità è coprire i piccoli tragitti giornalieri che si fanno all’interno della città.”
    …..serve a integrare gli altri servizi di trasporto pubblico e privato, non è un noleggio turistico, nè un servizio ricreativo….la città è molto grande!

    l’utilizzo del servizio comporta la registrazione via web (o in un ufficio apposito), si riceve una tessera magnetica ricaricabile.
    – il costo annuale è di 30 €,
    – frazioni di trenta min. costano 50 cent.
    – per un utilizzo oltre le 2 ore scatta una tariffa di 3 € l’ora.
    – se si utilizza per + di due ore per più volte, dopo tre avvisi, il servizio di sharing viene interrotto.
    – si addebiteranno 150 € sulla carta di credito dell’utente che non riporterà la bici in uno dei parch. dopo le 24 ore del primo utilizzo.

    – per la città ci sono in funzione 400 “stazioni” con 6000 bici
    – le “stazioni” sono vicino a fermate della metro, treni, parcheggi pubblici.

    – durante la settimana il servizio si interrompe dalle 24 alle 5 di mattina.
    – il w.e. il servizio funziona 24 ore su 24.

    – la stazione è formata da una rastrelliera con bici e una colonnina, tutto collegato in rete. Si passa la tessera in una fessura della colonnina che ti segnala il numero della bici da utilizzare, la si inforca e si percorre ad esempio la distanza tra le fermate di due line di autobus differenti e distanti fra loro, si lascia la bici in un’ altra stazione.
    video che illustra come “ancorare” la cici alla rastrelliera di una stazione:
    http://www.bicing.com/modulos/modulos.php?TU5fVVNVQVJJT1M%3D&Mg%3D%3D&MTI%3D

    -purtroppo l’utilizzo è solo per gli spagnoli

    qualche foto e commenti in inglese bloggate da visitatori
    alwaysintransit.typepad.com/hyde_park_urbanist/2009/02/barcelona-bike-sharing.html

    a presto
    federico

  4. Sono d’accordo con Vittorio, sarebbe meglio investire su parcheggi per biciclette sorvegliati e sul miglioramento della sicurezza per i ciclisti in città.

    Così come concepito il bike sharing effettivamente non da risultati apprezzabili.

    Ciao a tutti Gabriele

     

  5. Non riesco a non pensarla come Vittorio, da ciclista integralista quale sono. Mi viene infatti da osservare:

    a) che effettivamente le bici del bike sharing (qui a Bologna) sono assai pesanti, poco funzionali e il sistema farraginoso;

    b) il costo di una bici funzionale e leggera è veramente modesto, i costi di mautenzione pure.

    Il bike sharing non è perciò competitivo per i ciclisti convinti, per i quali sono molto più importanti gli aspetti segnalati da Vittorio (ciclabili sicure e confortevoli, parcheggi sicuri eccetera). Però forse il bike sharing potrebbe essere:

    a) un’alternativa per i ciclisti occasionali, siano essi turisti o residenti;

    b) un modo per pubblicizzare la bicicletta come mezzo urbano;

    c) una possibilità per chi vuole provare, nella speranza che diventi ciclista abituale (che quindi prima o poi, verosimilmente, si procurerà un mezzo proprio, per quanto sopra).

    Certo è che se le bici sono scomode, pesanti e poco funzionali, si rischia che chi le prova anziché innamorarsi si allontani definitivamente. Non vorrei che questa fosse proprio una delle chiavi dello scarso successo, almeno qui a Bologna. Io personalmente non le ho mai provate, ma a vederle non me ne viene affatto la voglia.

    Quindi tornando al quesito: è più d’incentivo alla mobilità ciclabile “quotidiana e residenziale”:

    (1) un buon sistema di bs oppure

    (2) il fatto di poter contare su una bella rete di ciclabili, protette, sicure e gradevoli?

    Peraltro, non è forse corretto affermare che (2) è essenziale anche per (1), per cui  (2) è necessario e sufficiente prima ed a prescindere da (1) e che perciò, una volta realizzato (2), può darsi che 1 possa essere utile solo a turisti , affini e “per coloro che vogliono provare”, ma difficilmente per quelli davvero abituali? se ciò è vero, il grosso della mobilità ciclabile quotidiana, quindi, si svolgerebbe comunque (come già capita) su mezzi privati.

    Voglio dire: se uno si deve sbattere per farsi la tessera o il titolo di abbonamento, per memorizzare tutte le condizioni di utilizzo eccetera, vuol dire che ha intenzione di andarci almeno un po’ di volte. A quel punto spendere due soldi per una bici usata è senz’altro più pratico. Se il problema poi è dove parcheggiarla in modo sicuro, torniamo a quanto detto da Vittorio.

    Con questo rimangono i vantaggi del bike sharing quale mezzo promozionale, ma a patto che chi lo prova alla fine possa dirsi contento di aver usato la bicicletta anziché un altro mezzo.

     

     

  6. cio’ che secondo me rende inutile il servizio a bologna è l’impossibilità di lasciare la bici in un luogo diverso da dove si è presa, in quel caso potrebbe anche essere interessante perchè non ci sarebbe il rischio furto.

    Che è il vero problema, sabato vado allo stadio ma il mio amico che possiede solo una bicicletta decente non è molto attratto dall’idea di lasciarla un paio d’ore alla mercè di chiunque e ha deciso di passarmi a prendere in auto.

  7. Ciao,

              penso che la questione si raccolga in due domande, tanto per cercare d’essere sintetico, vertenti sicurezza e praticità.

    C’è una sufficiente sicurezza per la salute e per il mezzo ?

    C’è una sufficiente praticità per l’uso dello strumento utilizzato ?

    Questo è ovviamente valido per chiunque, qualsiasi uso e strumento.

    Quindi anche per chi è in grado d’utilizzare la bici.

    Secondo me è necessario avere una risposta positiva da parte dell’utilizzatore ad entrambe, per vederlo pedalare.

    Mi pare che per ottenerle, si possano fare piste ciclabili dove c’è abbastanza spazio per realizzarle (sufficientemente larghe, lisce e dritte, per poter mantenere una velocità relativamente alta per definirne l’uso della bici, “pratico”). Dove questo spazio manca è necessario uniformare la velocità di tutti gli altri utilizzatori della strada a quella delle bici, per riconoscere l’uso della bici sufficientemente sicuro.

    Per quando la bici si ferma, sia nostra o BS nominativa, necessita avere un posto sicuro dove attaccarla, se ce ne sono diverse, magari con una tettoia, se molte di più, magari con una sorveglianza. Penso sarebbe bene che dove c’è il portico,  fra colonna e colonna, ci fosse la possibilità di legare una o due bici, sempre per far rispondere affermativamente alla domanda di praticità di chi usa la propria.

    Vedo l’importanza di BS nominativa, per chi usa contestualmente un mezzo pubblico bus, corriera o treno che sia, prima o dopo l’uso della stessa.

    Per la BS non nominativa, necessita un ben maggiore numero di stazioni che prevede un uso molto diffuso, forse per una città come Bologna, meglio l’uso nominativo come ora.

    Ciao !

       

  8. Mi riferisco al commento di Alexxandro:

    I problemi sono sempre quelli: sicurezza dei parcheggi, viabilità ciclabile ecc.. Sabato tu e il tuo amico avrete quello della sicurezza dei parcheggi.

    Un’amara considerazione: spendiamo una marea di soldi pubblici per uno schieramento di forza pubblica da stato d’assedio in occasione di ogni partita, e nonostante il numero impressionante di poliziotti, vigili eccetera presenti sul posto, non ci si può fidare a lasciare una bicicletta. Moralino: le partite causano blocchi di viabilità stradale, le macchine parcheggiate dai tifosi invadono i marciapiedi e zone di divieto per chilometri quadrati intorno allo stadio, e non esiste un parcheggio sicuro per i tifosi che vogliono arrivare in bici. Non potrebbero impiegare uno dei tremila agenti anche per quello, per esempio? Parliamo di niente!

  9. Effettivamente gli aspetti sottolineati da Vittorio sono veri. Il bike sharing può essere ideale per gli users della metropoli. Credo che come strumento il bike sharing non possa rappresentare il centro di una politica per la bici.

    Con un gioco di parole, la bici deve essere al centro delle politiche di mobilità.

    E a Bologna non è così. La mobilità sostenibile è residuale; forse tenuta in considerazione solo per operazioni di marketing urbano.

    Tutte le politiche comunali sono indirizzate ad attrarre più users, più consumatori della città. Non a caso i politici credono che bisogna inseguire tutte le esigenze dei cittadini\utenti. Quindi non c’è solo la bicicletta, ma occorre fare parcheggi, nuove strade, nuovi iper-luoghi e nuove infrastrutture. Proprio vicino a casa mia è stata recentemente fatta una pista ciclabile sul marciapiede per far posto a parcheggi sulla carreggiata.

    Inoltre la gente va in bicicletta se lo può fare. A bologna le morti sulle strade sono sempre più numerose. Le persone pensano che sia un rischio essere pedoni o ciclisti. Nella città vige ormai la legge del più forte: es. la mamma con un SUV sicuro per se stessi, mortale per gli altri.

    In generale tutto lo spazio è organizzato a favore di una mobilità insostenibile, per cui un altro modello di movimento comporta anche un diversa idea di urbano.

    Il ciclista resiste a questa situazione. Chi è interessato a queste problematiche penso che non possa aspettarsi niente dalle istituzioni. Non possono per loro stessa natura venire incontro a certe esigenze.

    Proprio per il suo essere resistente, il ciclista può essere un elemento innovativo. I cittadini ciclisti possono creare e sperimentare nuove forme di spostamento, di città. Forse non a livello macro, ma tanto si può fare per contaminare l’immaginario auto-distruttivo che domina l’urbano. Le istituzioni se vorranno si adatteranno, copieranno, modificheranno, ma è la cittadinanza la prima a dover agire.

    Un sistema informale di bike sharing può essere un’idea. Mettere in circolo delle biciclette collettive come i PROVOS ad Amsterdam un’altra. Creare una rete di officine per prendere in prestito, costruire, riparare le bici è sicuramente importante. Le idee e le modalità sono innumerevoli.

    Centrale a tutte deve essere la proposta di un modello alternativo. Occorre usare gli spazi urbani in modo creativo, costruire anche solo temporaneamente delle zone autonome dall’immaginario dominante nella città.

    Conoscendo da vicino la ciclofficina, alcune di queste zone si vedono. Dare la possibilità di imparare a conoscere il proprio mezzo (e se stessi?), recuperando rottami, con rapporti orizzontali non è da poco. Luoghi come questo sono dei veri e propri laboratori in cui si sperimenta una socialità alternativa. Ecco. Sperimentare alternative è il punto nodale, anche per quanto riguarda la mobilità ciclistica.

    Per la “velorution” non basta una buona urbanistica, una buona progettazione, ottime infrastrutture. E’ una cultura che va contaminata.

    Il mio commento è fuoriuscito dal discorso sul bike sharing ma credo che ciò sia inevitabile. Le questioni in campo sono complesse e forse ingestibili. A noi spetta buttare semi.

  10. Nemmeno io credo nel bike-sharing!

    Che il BS sia poco efficace per risolvere i problemi relativi alla mobilità mi sembra piuttosto evidente; peraltro i punti di sharing sono tutti, o quasi, in centro (o almeno così mi è parso…mi sbaglio?) quando tutto avrebbe molto più senso se fossero nei punti caldi di una rete pianificata che evidentemente non esiste.

     

  11. Accidenti che dibattito ragazzi, non credevo. Si vede che il problema è sentito. A costo di ripetermi ribadisco che:

    1) apprezzo l’esistenza di bici pubbliche davanti alle stazioni ferroviarie, da usare per andare a fare la riunione o il giretto, riportarle indietro ovviamente non è un problema dato che poi si deve riprendere il treno per tornare a casa. Questo uso della bici pubblica l’ho sperimentato positivamente a Piacenza Modena Imola e Trento. Non ho potuto sperimentarlo a Parma e Reggio Emilia perché lì hanno messo in piedi sistemi diversi con tessere e pagamenti, ma soprattutto perché gli amministratori non hanno capito che i due sistemi (quello a chiave e il loro) possono tranquillamente coesistere.

    2) non apprezzo affatto i sistemi a pagamento (non considero un pagamento il deposito di dieci euro che una tantum ho dovuto fare per procurarmi la chiave del sistema “C’Entro in bici”) perché ti obbligano a rimettere prima possibile la bici in una rastrelliera per non continuare a pagare (e non è affatto detto che ci sia la rastrelliera pronta sotto la tua destinazione) e anche perché ogni città li fa diversi e dovresti avere un sacco di tesserini (mentre la mia chiave c’entro in bici funziona in tutte le città che hanno adottato il sistema)

    3) le bici pubbliche sono spesso scassate a causa del vandalismo, ma questa piaga colpisce molto anche quelle private (avete presente le ruote a banana?) quindi non mette molto conto parlarne se non per proporre di realizzare convenzioni tra comuni e ciclofficine per la manutenzione delle bici pubbliche

    4) il sistema di bici pubbliche più furbo che ho provato è quello di Copenhagen dove la bici si preleva come un carrello del supermercato, mettendoci dentro una moneta che poi viaggia con voi e che si recupera riponendo la bici in un qualunque stallo libero. Anche quelle comunque sono bici pesanti e poco appetibili, comunque la girata fino alla sirenetta è stata lo stesso piacevole… Ciao a tutti e pedalare!

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