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Dantesca di Emilio Rigatti

Dopo Ariostesca Emilio Rigatti ci delizia con Dantesca. E lo ringraziamo tanto.

Lo Duca mio, poiché tosto s’accorse
Ch’io avea girato il capo verso un ferro,
chè brama di saper l’alma mi morse,

Soggiunse allora: “Se io bene afferro,
Ti chiedi quell’obbietto cosa sia?
E io ciò che t’è chiuso ora disserro

Così saprai di quella geometria.”
“Né pria io vidi mai cosa sì strana –
Dissi – né può capir la mente mia

Chi tanto patì febbre di quartana
Da costruire poscia un monstro tale
Che nunqua vidi a Roma od in Toscana.”

“Devi capir, se il senno ti dà l’ale,
Che tal portento corre qual destriero
Ma di biade e d’erbe nulla gli cale.

E sappi ancor che io dichiaro il vero
Se dico a te, Alighier, ch’esso fu tratto
Da un mineral che brucia ed è anche nero”

Nell’ascoltar da lui pensier siffatto
Annebbiare sentii lo mio intelletto
Come a chi inganno al ragionar vien fatto.

“Opra è dunque dell’Angel maledetto?”
Dissi tremante a quell’alma augusta
Che mai lo chieder mio avea negletto.

Come la luce per finestra angusta
Strada non trova a rischiarar la stanza
Buia sentii la mia ragion e frusta.

Verso di me lesto lo Duca avanza
Per far brillare come un nuovo conio
Il senno mio in tanta complicanza.

“Ciò che tu credi arte del demonio
fecela inver divina volontade:
È una Colnago, in fibra di carbonio,

Pronta a volar per tutte le contrade:
Shimano è il cambio e Crank Bros i pedali,
Ed ha uno sponsor della Gatorade.”

Io l’inforcai e quasi avendo l’ali,
mirando il cielo con lo sguardo fiso,
Vidi un fulgor di candide vestali.

Del mantovan poeta scorsi il riso
In lontananza, poi volsi l’alma a Dio
Veloce pedalando al Paradiso.

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