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Per Eva e per tutti i ciclisti uccisi

Non crediamo che anche un solo morto sia un prezzo ineluttabile da pagare sull’altare della mobilità e non crediamo che non ci siano soluzioni a questa mattanza. Pensiamo si debba ristabilire il principio di responsabilità. Anche a costo di cominciare a chiedere una “nuova 626” per le Città. Una certificazione di territorio sicuro Se non un Testo unico in materia di salute e sicurezza nelle città almeno una carta dei doveri dei Sindaci. Nei luoghi di lavoro ci sono precise responsabilità  anche penali in capo agli amministratori. Anche le città (il luogo dove si muore di più) hanno degli Amministratori e anche le strade provinciali fanno capo ad Amministratori. Pensiamo che mobilità sostenibile e sicurezza stradale siano due facce della medesima medaglia. Lavorare per l’una significa favorire anche l’altra. Per queste ragioni se vedete per strada una bici come questa qui sopra non rimuovetela, ma fermatevi a pensare perché li è morto (prima ancora che un ciclista) un uomo o una donna. Che non potrà più sorridere: come Eva.

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  1. Questo è assolutamente il punto nodale della questione. Ma non è un problema di “626” nel senso che non è la prescrizione del casco, dei guanti eccetera che può salvare gli utenti deboli della strada, ma soprattutto il controllo capillare sul territorio. E’ brutto dirlo, ma visto che i cittadini non si educano da soli, occorre la presenza di agenti sul territorio che sorveglino il rispetto delle regole del codice della strada, una delle poche leggi che se applicata sarebbe davvero utile a salvare la vita a tante persone.

    Fin quando gli utenti indisciplinati sanno di poterla fare franca, non hanno alcun buon motivo, almeno finché non ammazzano o fanno molto male a qualcuno, a rispettare le regole del codice della strada. E’ molto difficile che la coscienza da sola sia sufficiente, soprattutto in uno stato in cui chi rispetta le regole si sente un fesso, e chi la fa franca si sente un dritto.

  2. non vorrei sembrare un’apologeta dello stato poliziesco. Il meccanismo che ho prima descritto è del tutto normale, e noto agli operatori del settore. L’Italia ha un grado di rispetto dell’ordinamento giuridico che è al di sotto della soglia minima. Ciò significa che il nostro ordinamento è per lo più inefficace, non ha alcuna forza coercitiva. E purtroppo ciò che da la forza coercitiva ad un ordinamento è la capacità dello stato di farsi percepire come in grado di applicare la sanzione. La c.d. “certezza del diritto” di cui si parla tanto. Non è solo un fatto di interpretazione giurisprudenziale, ma anche e soprattutto il fatto concreto che “in linea di massima” alla violazione deve conseguire la sanzione.

    Se il cittadino sa che non è così, la norma perde la sua forza.

    Ora vige il concetto che ci si debba proteggere: per questo la gente compra i SUV, perché sono più “sicuri”  ovviamente solo per chi sta dentro…

    Invece, deve tornare vigente il principio di responsabilità: chi circola deve prima di tutto regolarsi sapendo che se viola qualche norma, prima ancora che se faccia danno a qualcuno, ne deve rispondere.

    Gli automobilisti, gli scooteristi, perfino gli autisti di bus guidano con prepotenza, senza pensare che stanno pilotando un’arma mortale. Sono gli altri che devono “avere paura” e comportarsi di conseguenza. Questo princpio deve essere invertito.

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