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L’uomo che voleva vedere tutto di Max Mauro

Heinz Stuecke è nato nel 1940 in un paesino a mezza via tra Dortmund e Hannover, in una delle regioni più ricche della Germania. I tedeschi della sua generazione, i figli della guerra, sono cresciuti in un mondo azzerato. Più che di riscostruzione e di rinascita, nel caso della nazione che aveva provocato il secondo conflitto mondiale si trattava di una ri-fondazione. Livellare il passato e inventare un presente, sotto lo sguardo onnipresente dell’‘amico americano’. Per molti di quei giovani elaborare la colpa dei padri è diventata un’ossessione, per altri una condanna. Alcuni hanno deciso una via alternativa: la fuga. Non so se Heinz accetti di collocare se stesso nella terza categoria, ma il fatto che nel 1962 sia partito in viaggio con la sua bicicletta e da allora non si sia più fermato, e non abbia più voluto far ritorno al paese natale, ha secondo me qualcosa a che fare con il peso del tempo in quella Germania.
Da alcuni anni la sua impresa, se così la si vuole chiamare, è entrata nel Guinnes dei primati. E’ l’uomo che ha visitato tutti i paesi del mondo, ma proprio tutti. E lo ha fatto in bicicletta, percorrendo qualcosa come 500mila chilometri. Per molti tempo ha usato sempre la stessa bici, resistendo alle mode e ai consigli di altri viaggiatori. Oggi, a 68 anni, viaggia con una bicicletta pieghevole, facile ed economica da trasportare in aereo, costruita per lui da una ditta statunitense.
Una mattina di agosto, quando nella parte meridionale del continente africano…

è pieno inverno, io e Bibi arriviamo in una località sulla costa di Città del Capo che si chiama Muizenberg. Ha una spiaggia che sembra non finire mai, larga e bianca come quelle dei film. L’oceano indiano offre delle onde spettacolari e ogni giorno decine di surfisti di ogni età decidono di provare a cavalcarle. Non siamo qui per fare surf, putroppo: Muizenberg è la meta di una breve gita dalla metropoli durante una pausa di lavoro. Scendiamo dal treno e raggiungiamo la spiaggia, che è pochi passi dai binari ferroviari. E’ ancora mattino e i surfisti non sono numerosi. Sono però concentrati in un’area di circa cento metri, di fronte alla piazza della cittadina. Poco più in là il mare è sgombro di figure acrobatiche e ci chiediamo il perché. La spiegazione sta nella cabina del Shark-Spotter, l’avvistatore di squali, che segnala con bandiere di vario colore il livello di pericolo per chi decide di entrare in acqua. I surfisti si concentrano prudentemente di fronte all’osservatorio.

A pochi passi dalla cabina del Shark-Spotter noto la sagoma di una bicicletta coperta di polverose borse da viaggio e accanto a lei un ometto in pantaloni da trekking e maglietta gialla. Che ci fa un cicloviaggiatore nel Sudafrica della paura? Di questi tempi, si lamentano molti sudafricani, il loro paese occupa le cronache internazionali per le violenze tra civili, gli assalti agli immigrati, neri uccisi da neri, bianchi rapinati e uccisi nelle loro ville (ma questo fa meno notizia). La transizione del dopo-apartheid è una questione più che mai aperta.

Mi avvicino al ciclista con curiosità e un po’ di emozione. Nelle settimane trascorse nella provincia del Capo ho visto ben poche biciclette. Poco sopra il centro di Città del Capo ho trovato un negozio/officina concessionario esclusivo di una ditta svedese che produce supporti portabici per automobili. Auto e bici vanno a braccetto, indice di un passatempo domenicale più che di un uso quotidiano. Gli utenti di questo passatempo sono bianchi, bianchi benestanti. Nel quotidiano la bicicletta è pressochè assente. Vedere un cicloviaggiatore è quindi una notizia. Lo raggiungo, è intento a scattare delle foto al mare. E’ un uomo minuto. Non riesco a dargli un’età precisa. Mi sorride e in inglese gli chiedo dove è diretto.

‘Sto viaggiando in Sudafrica da alcuni giorni e sono diretto verso est’, mi dice con un accento che sul momento non riesco ad inquadrare. L’occhio mi cade sul telaio della bici. ‘Heinz Stuecke, the man who wanted to see it all” (Heinz Stuecke, l’uomo che voleva vedere tutto”). Ma allora…? Sono incredulo. La storia di Heinz Stuecke è nota a tutti coloro che si avvicinino al viaggio in bicicletta in solitario. Documentandomi per il mio itinerario patagonico diversi siti internet mi avevano indirizzato a lui…e ora me lo trovo di fronte, nel luogo più impensato!

‘Conosco la tua storia’, gli dico un po’ confuso. Comincia un dialogo che probabilmente Heinz avrà ripetuto troppe volte, con tanti viaggiatori incontrati nella sua vita, ma è comunque gentile. Nella sua vita gli è successo di tutto, dall’essere assalito da una folla ad Haiti, pestato dai soldati in Egitto, imprigionato in Camerun, derubato della bicicletta in Inghilterra. ‘Ho viaggiato per sei anni in Africa, molto tempo fa. In Etiopia c’era ancora Haile Salassie. Ora ho un biglietto aereo one-year round e lo sfrutto per andare o tornare in luoghi che voglio conoscere meglio’. Non evito la domanda più ovvia: come ti mantieni? Mi spiega che nei paesi ricchi raccoglie dei soldi vendendo a tre euro il libretto autoprodotto che racconta la sua storia, ogni tanto riesce a piazzare delle foto a qualche giornale (ma oggi meno di un tempo, confessa), e riceve donazioni da amici e sostenitori. ‘Negli anni ho imparato a vivere di molto poco’.

Mi colpisce il fatto che a 68 anni non senta ancora il bisogno di fermarsi. Sempre più spesso, in questi tempi confusi che viviamo, trovo persone “anziane” che sembrano vivere incuranti del tempo, impegnati ad inseguire la gioventù nelle più diverse forme. La curiosità e la voglia di scoprire sono delle medicine straordinarie contro l’appassimento, ma mi turba un po’ l’idea di arrivare a 70 anni ed essere ancora irrequieto come ero da ragazzo. E’ un mio rovello, e solo mio, e lo lascio macerare dentro senza trasmetterlo ad Heinz. Lui è proiettato verso la sua prossima tappa, Città del Capo. Mi chiede suggerimenti per un bed and breakfast economico, perché la notte passata in tenda gli ha lasciato una sensazione di insicurezza. La bicicletta è il mezzo di trasporto più pacifico, ma la tensione che attraversa il Sudafrica non lascia indenne nemmeno il cicloviaggiatore più esperto. Ci salutiamo, ma prima di lasciarci Heinz mi chiede un numero di telefono fisso. ‘Se passo dalle tue parti ti chiamo’. Peccato che io non abbia un recapito fisso. Nemmeno un indirizzo, fisso.

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